«In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.

Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.

Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte
».

Boris Pasternak

lunedì 10 agosto 2015

O Capitano! Mio Capitano!

«Gli uomini, sia ora che in principio, hanno cominciato a filosofare a causa della meraviglia, iniziando a meravigliarsi dapprima riguardo alle cose strane che erano loro a portata di mano e proseguendo, così, poco a poco, sino a porsi problemi di maggiore conto. Per esempio, riguardo alle affezioni della luna, del sole, degli astri e della nascita dell'Universo. Ma chi dubita e si meraviglia crede di non sapere, perciò anche l'amante del mito è in un certo senso filosofo, giacché il mito è un insieme di fatti sorprendenti».
Aristotele, Metafisica


Cos'è mai un verbo coniugato all'imperfetto?

Le sue lezioni universitarie erano νόστοι.
Viaggi nel passato, nel presente incompreso in cui ci si sente in bilico, gettati nella storia. 
L'antichità per leggere la modernità.
Lezioni universitarie come Bellezza.
Lui era l'Università fatta carne.
Un uomo con la testa altrove, sognante di un mondo ancora possibile se guardato con il cuore.
Un uomo che guardava, un uomo che chiedeva.
Un professore che chiedeva. 
Lui chiedeva.

"La mer,
  a bercé mon coeur pour la vie
"
Mauro Corsaro amava parlare di tutto, fermarsi a contemplare un volto enigmatico o un albero strascicante malinconia. Leggeva Platone, leggeva Nietzsche e la Scuola di Francoforte, guardava i film di Marco Ferreri e poi chiedeva che cosa pensassimo delle usanze spartane ancora possibili, eternamente possibili. Il mondo antico è la chiave di comprensione del mondo, è un mito.
E lui gesticolava, quasi a voler afferrare tutto dalla vita, fino alla radice, come un amante mendicante.
Umiltà, apertura al presocratico νοῦς, quello che i Latini chiamavano studium: dedizione, passione, zelo.
Ed oggi tentiamo di pronunciare bene le parole in Greco, come lui ci ammoniva di fare.
Un velo di attraente esaltazione sul suo volto immacolato...
 
Ciao, Capitano.

11 commenti:

  1. Il mondo antico è la chiave di comprensione del mondo, ci pensavo proprio in questi giorni. Ma non il mondo antico fino agli albori dell'uomo, bensì quello della cultura classica, prima greca e poi romana, che per noi italiani è la radice di ogni idea e di ogni parola. C'è stata una fase arcaica che l'ha preparato questo mondo, e secondo me è durata decine di migliaia di anni, per poi sfociare in quei pochi secoli che hanno generato forme luminose di civiltà, la poesia, la filosofia, marmi bianchissimi, l'ordine e la misura, un equilibrio estetico perfetto. Siamo tutti orfani di questa perfezione.

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  2. C'è! C'è ancora! Mai sentito parlare di "engramma"? Parlo di quelle tracce mnestiche della memoria, figlie dell'esperienza o di un'ancestrale appartenenza al divinino Spirito greco. Quando avverti uno sprofondare dentro la materia (una figura, un marmo, un epigramma), quando senti di svenire al cospetto dell'etereo teatro greco di Siracusa, dentro una catarsi divina e commovente, quando vibra in te l'eternità nella caducità... quello è lo Spirito greco.

    "Dimmi, Tiresia
    dal regno dove mai nessuno si è recato
    versami il sangue,
    scavami un botro,
    un buco per sbirciare tra il mio destino e il Fato.
    Bevi il mio sangue
    che porti alla memoria la coscienza di chi ero e sono stato.
    Ma è meglio sapere o non sapere?
    Aver la conoscenza?
    Sapere o non sapere
    quello che poi mi sporcherà?
    Dimmi, Tiresia,
    affido a te il mio viaggio,
    alla tua sentenza,
    tu che sai già com'è filato il mio cammino".


    https://youtu.be/kN7Y7RJg06o

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  3. C'è nel senso che ci riconosciamo in quelle forme, che sopravvivono nella nostra sensibilità. Però queste forme oggi sono in un ghetto. Noi viviamo la frammentazione, l'irrazionalismo, la dispersione. Quella antica integrità è stata smontata pezzo dopo pezzo e noi ci troviamo senza riferimenti. Il fenomeno attualmente maggioritario mi sembra che sia quello del rifiuto di ciò che siamo, della nostra lingua innanzitutto, e di una cultura umanistica unitaria non spezzettata in mille branchette dalle pretese scientiste. Poi il rifiuto delle nostre radici cristiane, della nostra spiritualità bella, semplice, concreta, che ci viene da due millenni di cristianesimo: preferiamo infatti lasciarci ubriacare da assurdi orientalismi o farci mettere in riga da beceri ateismi. Insomma quello spirito certamente sopravvive, non può finire nel nulla. Ma, appunto, sopravvive, non prospera, né vive, né vivacchia. Esiste al margine. Quello spirito è la chiave di comprensione del mondo, noi lo rifiutiamo, dunque non sappiamo più chi siamo.

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  4. Oggi, però, c'è chi cerca di recuperarlo.
    Quello che hai detto mi ha fatto pensare alla "Dialettica dell'Illuminismo" di Adorno ed Horkheimer. Oggi, in quanto figli o attori del Postmoderno, si vive da metaletterari, metasocialnetworkiani o solitari apprendisti di magie. C'è una via di mezzo ed è quella della Vita che ha sempre necessitato di alienazione per potersi dire viva contro qualcosa. Eternamente contro, che è un poco la linfa del vivere. Quel "vivere contro" per "vivere per".

    " Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza".

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  5. Metasocialnetworkiani non so che cosa può voler dire ma non mi dispiace. So solo che aborro Facebook e la sua metabacheca espositiva dell'esistenza, e sposo Twitter solo perché non lo uso per comunicare ma per scorrere opere d'arte e fotografie, quindi non come social ma come svago. Che intendi per apprendisti di magie?

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  6. Assolutamente d'accordo circa il disprezzo per Facebook (lo detesto, ci ha portato alla rovina) e l'elogio di Twitter (il trionfo del "social network"). Quell'espressione era una maniera molto poetica per racchiudere i solitari, misantropi ed analitici osservatori. I sognatori, insomma. La quarta categoria di umanità possibile secondo "L'insostenibile leggerezza dell'essere" del grandioso Milan Kundera.

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  7. "Tutti abbiamo bisogno che qualcuno ci guardi. A seconda del tipo di sguardo sotto il quale vogliamo vivere potremmo essere suddivisi in quattro categorie. La prima categoria desidera lo sguardo di un numero infinito di occhi anonimi: in altri termini, desidera lo sguardo di un pubblico. È il caso del cantante tedesco, dell'attrice americana e anche del redattore con il mento grosso [...] La seconda categoria è composta da quelli che per vivere hanno bisogno dello sguardo di molti occhi a loro conosciuti. Si tratta degli instancabili organizzatori di cocktail e di cene. Essi sono più felici delle persone della prima categoria le quali, quando perdono il pubblico, hanno la sensazione che nella sala della loro vita si siano spente le luci [...] C'è poi la terza categoria, la categoria di quelli che hanno bisogno di essere davanti alla persona amata. La loro condizione è pericolosa quanto quella degli appartenenti alla prima categoria [...] C'è infine una quarta categoria, la più rara, quella di coloro che vivono sotto lo sguardo immaginario di persone assenti. Sono i sognatori. Ad esempio Franz. Era andato fino al confine della Cambogia solo a causa di Sabina. Il pullman sobbalza sulla strada thailandese ed egli sente fisso su di sé il lungo sguardo di lei ".

    M. Kundera, "Nesnesitelná lehkost bytí".

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  8. Grazie per questo estratto, per cui adesso mi costringi a leggere anche questo libro, oltre La dialettica dell'illuminismo. Grazie, perché questa suddivisione dell'umanità mi piace, e mi rendo conto che mi piacerebbe stare nell'ultima categoria, invece sto nella terza. Grazie, infine, per il titolo originale.

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  9. Non posso immaginare la mia esistenza scissa da quel libro.
    L'ho letto, riletto e finisco con il ritornarvi sempre!
    D'altronde, è tutto incentrato sulla teoria dell'Eterno ritorno.

    Invidio, per certi versi, gli appartenenti alla terza categoria.
    Li trovo i più "sani", anche se Kundera dice che sono i più pericolosi e anche se il pensiero di desiderare ossessivamente quella persona può diventare una prigione dell'anima, simbolo di immaturità e contrario del vero Amore. Pare che per vivere bisogna fare i conti con il passato, quindi assimilarlo, accettarlo o renderlo poesia. Vivere perennemente con il pensiero fisso su ciò che è stato è irreale.

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    1. Concordo pienamente. Però forse Kundera si riferiva a quegli animi predisposti ad avere qualcuno accanto da amare profondamente, che tendono a idealizzare la persona amata. Infatti non dice pericolose queste persone, ma la situazione in cui tendono a cacciarsi. Salvo casi patologici, mi sembra una cosa bella, o comunque un modo di essere. A patto di non essere portato all'esasperazione, s'intende. In fondo molti vivono col cuore spezzato, la vita è anche questo, e per come la vedo io la quarta categoria mi sembra quella più pericolosa. Comunque, buona Assunta.

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