«In ogni cosa ho voglia di arrivare
sino alla sostanza.
Nel lavoro, cercando la mia strada,
nel tumulto del cuore.

Sino all’essenza dei giorni passati,
sino alla loro ragione,
sino ai motivi, sino alle radici,
sino al midollo.

Eternamente aggrappandomi al filo
dei destini, degli avvenimenti,
sentire, amare, vivere, pensare,
effettuare scoperte
».

Boris Pasternak

mercoledì 3 aprile 2013

La conversione oziosa

M.Weber  
L'etica protestante e lo spirito del capitalismo , 1905 

Ciò che è veramente riprovevole dal punto di vista morale è l’adagiarsi nella ricchezza, il godimento della ricchezza colla sua conseguenza dell’ozio e degli appetiti carnali, soprattutto di sviamento dallo sforzo verso la vita eterna. E la ricchezza è sospetta solo perché porta con sé il pericolo di questo riposo; poiché il «riposo eterno dei Santi» è nell’al di là; ma sulla terra l’uomo per essere sicuro del suo stato di grazia deve «compiere le opere di Colui che lo ha mandato fintanto che è giorno». 
Non l’ozio e il godimento, ma solo l’azione serve, secondo la volontà da Dio manifestamente rivelata, ad accrescimento della sua gloria. La perdita di tempo è così la prima e, per principio, la più grave di tutte le colpe. Lo spazio della vita è brevissimo ed infinitamente prezioso per affermare la propria vocazione. La perdita di tempo nella società, la «conversione oziosa», il lusso, persino il dormire più di quel che sia necessario alla salute- da 6 ad 8 ore al massimo- è da un punto di vista morale assolutamente riprovevole.
Non si dice ancora, come dirà Franklin, «il tempo è moneta», ma questa sentenza vale, per così dire, in senso spirituale: esso è infinitamente prezioso, perché ogni ora perduta è tolta al lavoro a servizio della gloria di Dio. Senza valore, talvolta addirittura riprovevole, è anche la contemplazione inattiva, per lo meno se essa avviene a spese del lavoro professionale.  […]
Il lavoro è oltre a ciò, e sopra a tutto, lo scopo della vita prescritto da Dio. La sentenza di San Paolo «Chi non lavora non deve mangiare» vale senza restrizioni per tutti. La scarsa voglia di lavorare è sintomo della mancanza dello stato di grazia. […]
Manca alla vita di chi è privo di professione il carattere sistematico- metodico, che è richiesto dall’ascesi laica. Anche secondo l’etica dei Quaccheri la vita professionale dell’uomo deve essere un conseguente esercizio ascetico della virtù, una preservazione del suo stato di grazia, che si esprime nella cura e nel metodo con cui egli attende alla sua professione. Non il lavoro di per se stesso, ma un razionale lavoro professionale è ciò che Dio richiede.

Angelus, Jean- François Millet

5 commenti:

  1. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

    RispondiElimina
  2. "L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" così è stato scritto e mai come oggi possiamo comprendere come quest'articolo sia quello su cui si fondano tutti gli altri. Il lavoro visto come fonte di sostentamento ma soprattutto come nobilitante l'animo umano, che ne permette l'arricchimento attraverso la relazione con "l'altro" e la continua messa in discussione di sè stessi.
    E' però pur vero che questa società ci porta ad un eccesso di produttività, sminuendo quello che è il vero significato del lavoro, ovvero la realizzazione di sè.
    Tu non sei il tuo lavoro, non sei la quantità di soldi che hai in banca, non sei la macchina che guidi, ne il contenuto del tuo portafogli, non sei i tuoi vestiti di marca, sei la canticchiante e danzante merda del mondo! (Fight Club)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Infatti le parole di Weber traducono il vero significato del lavoro, ovvero quello che nobilita l'uomo, quel lavoro mediante cui troviamo una corrispondenza con la nostra vita (come vivere senza le baudeleriane corrispondenze?!)Qui si parla di Vocazione, non di alienazione, si parla di contemplazione, ascesi. Quindi, si deduce che l'autenticità del lavoro la si carpisce dall'intimo rapporto con Dio, altrimenti sarebbe fine a se stesso e si svilirebbe in un progetto senza meta e, soprattutto, senza presente. Non fraintendermi se cito Auschwitz, ma è vero che "il lavoro rende liberi" e non uso il tedesco perché è la lingua di uomini che non sono stati liberi.

      Elimina
  3. Sono d'accordo con il fatto che oggi è in atto lo snaturamento totale della concezione del lavoro concepito proprio come un "dovere morale" tutto Kantiano, ma in che senso il lavoro può portarti a dio? Se mi parli in termini di lavoro interiore che, di fatto, è prettamente contemplativo, allora posso anche capire meglio il tuo pensiero.
    Credo che prima ancora del terreno labor abbia la precedenza proprio il lavoro che tu decidi di fare su te stessa.

    RispondiElimina
  4. Quando non si STUDIA, si perde contatto con la realtà.
    Parlo di quello che i Latini chiamavano "studium", ovvero passione, zelo, desiderio di conoscenza.
    E come può il desiderio non essere all'altezza della somma vetta di felicità?
    Queste considerazioni mi hanno portato a pensare che il lavoro (zappare, scrivere, cucire) debba essere teso verso un fine che, ovviamente, faccio coincidere con Dio, anche perché non riesco a pensare ad un fine migliore!
    Mi sento in pace con me stessa, in armonia col mondo.
    E, ad un tratto, pensi di aver capito.
    Pensi di esserci dietro la zappa, dietro la penna, dietro l'ago.
    Pensi che ci sia un supremo senso di Bellezza dinanzi all'immanente.
    La nostra società, da un paio di secoli a questa parte, ha dimenticato il fine di ogni gesto, che è fine a se stesso.
    Questa è alienazione: tutto è fine a se stesso e pensi di poterti dare tutto da solo.
    Le parole di Weber sono magnifiche: la vita come vocazione.

    RispondiElimina